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Friday, October 31, 2014

Stabilità del posto di lavoro: un obiettivo da raggiungere.

Parto da questa immagine che ho visto su facebook:


"tristemente strepitosa", definita dall'amico Marco Marchi.Concordo.


E' chiaro che la ricerca della stabilità del lavoro deve essere un obiettivo primario per una società che voglia dirsi "civile". Ed ovviamente non si può definire "stabile" un lavoro che impegni 12 ore al giorno per 7 giorni su 7.

Nel momento in cui non si discutono più le regole del libero mercato (quando ci renderemo conto che andranno ridiscusse?), si è affermata letteralmente una dittatura del capitalismo, senza che vi siano contrappesi credibili, dopo il crollo dei regimi comunisti.

Inoltre, la globalizzazione, e lo sciagurato inserimento della Cina nel WTO ha creato un devastante sistema di vasi comunicanti per cui è evidente che chi ha di più o cede diritti fin quando le cose si bilanciano, oppure è destinato a due cose alternative:

1)Una brutta fine
2)Cercare strade alternative (leggi: pesanti investimenti in R&D ed eccellenze presenti nel paese).

L'Italia avrebbe (avrebbe ancora? avrebbe avuto? boh...) l'opportunità di percorrere la strada 2, ma l'immobilismo di tutta la sua società (non accuso solo la politica, la politica è lo specchio della nostra società) la fa temporeggiare da decenni. E se si temporeggia, non è che si oscilla tra 1) e 2), si va verso la brutta fine, perché se non c'è ricerca, si deve competere sulla produzione, e sulla produzione sappiamo benissimo che c'è chi, in maniera più o meno lecita, ci massacra.

Il risultato netto di questi vasi comunicanti è sotto gli occhi di tutti: una perdita secca di "QUANTITA' DI LAVORO" disponibile in Italia. Nessuno sembra saper fronteggiare questo trend devastante. Ne' il governo, che (di qualsiasi colore esso sia) non vuole fare scelte di campo su settori specifici e su quelli investire; ne' la classe dirigente, che sembra focalizzata più a puntellare l'esistente piuttosto che "fiutare" nuove possibilità. E neanche le classi più basse, lavoratori e sindacati, che sembrano bloccate a difendere dei principi indifendibili. Non perché non siano giusti, ma perché inattuabili e, di fatto, dannosi.

Forse sarebbe il caso di non attaccarsi a principi ed articoli di legge che vincolano eccessivamente. Forse sarebbe il caso di intervenire sulle basi stesse del contratto di lavoro. Il contratto di lavoro è per forza di cose sbilanciatissimo e per nulla simmetrico. Non è un matrimonio, in cui due persone decidono ALLA PARI di legarsi. Non è una scommessa tra due amici, e non è neanche il rapporto tra un padre ed un figlio, in cui la parte più forte è quella che è anche pronta a morire perché comunque la parte più debole non venga danneggiata. Qui c'è uno sbilanciamento in cui la parte più forte è anche quella che a tutti i costi deve sopravvivere, sacrificando la parte più debole.

Ora questo è il dato di fatto: c'è un datore di lavoro che firma dicendo "ho la buona volontà di mettere dei soldi su di te perché sono convinto che tu mi ridarai tanti soldi in più". Il lavoratore firma invece una FIDUCIA IN BIANCO, nel frattempo promettendo castità extraconiugale. E' un matrimonio sbilanciato. Ciò che bisogna cercare è, in maniera intelligente, di BILANCIARE queste situazioni iniziali.

In Italia lo si è fatto con un Contratto Collettivo Nazionale dei Lavoratori (CCNL) che è un libretto di 150-200 pagine in cui si dettagliano i diritti e i doveri di lavoratori. Questo CCNL non è la soluzione al problema. Non si bilancia un rapporto fissando le tutele, e purtroppo neanche con visioni "di principio", che pur essendo sacrosante, di fatto strozzano il lavoratore, perché il coltello dalla parte del manico è sempre dalla parte del datore di lavoro. Sono altri i modi: in ordine di importanza (ma anche in ordine inverso di fattibilità):

1)Creare una "fair competition" nel mondo. Questa la si fa livellando (ovviamente non verso il basso) i diritti dei lavoratori. Fino a quando ci sono situazioni come Foxcomm, abbiamo voglia che Apple venga ad investire in Italia. Possiamo dormire incubi tranquilli, Apple non verrà mai in Italia. Quindi, occorre convincere i Paesi in cui le tutele sono pressoché nulle a mettere dei "guardband", dei livelli di guardia minimi al di sotto dei quali non si scenda. Questa sarebbe la soluzione vera. Chi ci va in Cina a parlare di Articolo 18?

2)Almeno in Europa, unformare le condizioni lavorative, attraverso un processo di benchmark ed onesto "best-in-practice": chi è il più bravo nel cuneo fiscale? chi è il più bravo nel bilanciamento diritti-doveri? ecc...ecc... Insomma, non sarebbe male che ci fosse un CCEL, e forse i ministri del lavoro potrebbero cominciare a lavorarci su. Questo, se esistesse veramente l'Europa.

Ma questi primi due punti sono un po' un "wishful thinking"... non è roba dietro l'angolo, soprattutto il punto primo. Invece, ciò che va rafforzato, firmando un contratto di lavoro, sono gli INTERESSI RECIPROCI, di lavoratore ed azienda. In Italia, questa roba è acqua fresca: un po' di Stock Options ai dipendenti, elargite come manna dal cielo, (tra l'altro, esercitabili in un periodo limitato di tempo) e così si creerebbe la loyalty del dipendente. Balle. Col botto. E rimane pressoché nulla la loyalty delľazienda verso il dipendente. Di fatto, ľazienda è legata a tenere il dipendente solo dalla legge, che peraltro può essere bypassata.

A me convince molto di più un sindacato che diventa azionista dell'azienda, in modo PESANTE, e che partecipi massivamente alle sorti dell'azienda. E' chiaro che il lavoratore, da solo, non può "ricattare" l'azienda "se mi licenzi io ti combino questo", dal punto di vista economico. E' chiaro che è una formichina che vuole strozzare l'elefante. Ma l'unione dei lavoratori può iniziare ad avere SIGNIFICATIVI PUNTI PERCENTUALI all'interno dell'azienda. A quel punto, è interesse dell'azienda CURARSI i rapporti con i lavoratori (al di là degli aspetti tecnici manager-dipendente); d'altra parte, i sindacati devono VIGILARE sui lavoratori, che non siano dei fanfaroni fannulloni ciarlatani, e mettano le mani sempre sui problemi. A quel punto, non deve essere l'azienda a licenziare i lavoratori, ma il sindacato stesso che acchiappa uno dei suoi e gli dice "amico, a che gioco stai giocando?".

Solo così, creando una forza REALE  e non sulla carta, da parte dei lavoratori, si può parzialmente controbilanciare il rapporto di dipendenza. Devono essere soldi. E devono essere tutele crescenti. Tu entri, sapendo benissimo che in caso di crisi sei il primo a saltare. Se sei in gamba, vieni premiato rafforzando la tua posizione alľinterno delľazienda. Questo eviterebbe che ONESTI LAVORATORI, non eccellenze, termine usato e di cui si abusa, si ritrovino a 45 50 anni senza sapere che fare, sbattuti fuori da aziende senza scrupoli.
Inoltre, visto quello che abbiamo passato noi di Micron, un'azienda che si comporta come Micron dovrebbe pagare pesantissime penali, per licenziare in tempi di fatturati record. Se sei in crisi, ti capisco, ma se scoppi di salute e licenzi, allora paghi amaramente. Abbiamo un articolo 18, ma non abbiamo una legge di questo genere e per arrivare alle 28 mensilità ci sono volute estenuanti trattative dei Sindacati Nazionali. Quando almeno 48 mensilità di penale sarebbero il minimo, in condizioni di utili netti. La semplicità con cui Micron ha fatto fuori i suoi lavoratori non dovrebbe essere permessa, laddove invece una maggiore flessibilità in tempo di crisi sarebbe un aiuto.

Insomma il rapporto di lavoro non può essere "Mi convinci, ti prendo per la vita", ma più uno "scommettiamo che noi due andiamo ďaccordo? ". E la quota della scommessa, che può essere 1:1 alľinizio, per un giovane, deve diventare 1:5,1:10 per un quarantenne cinquantenne che ha sempre lavorato bene. In tal modo, un neo-assunto 25enne che perde il posto di lavoro non è un dramma, e le tutele vengono giustamente spostate verso i più anziani, che sono anche i meno appetibili. Per inciso, è quello che avviene in tutte le aziende piccole, che funzionano bene.

In definitiva, non principi che possono essere saltati a piè pari, ma interessi comuni MONETIZZABILI, e tutele crescenti, sulla base della prestazione continuativa e di buon livello. E' molto simile a quello che ho sentito dire in Germania ("Mitbestimmung" - Cogestione). Occorre quindi rivoluzionare il concetto di sindacato, ma per questo occorre più maturità da parte dei lavoratori, ed anche delle aziende.

Insomma, la soluzione al problema occupazionale non è bloccare le tutele, ma accrescere le responsabilità reciproche delle parti in gioco. Azienda e lavoratori. Un'azienda non si può comportare in modo irresponsabile, come ha fatto Micron e come sta facendo la Thyssen a Terni, QUESTO DOVREBBE PREVEDERE UN CONTRATTO SERIO, NON L'ART. 18; d'altra parte, il lavoratore deve essere più partecipe delle sorti dell'azienda. Senza questa COMUNANZA DI INTERESSI, abbiamo voglia di parlare di Art. 18, di tutele dei lavoratori... l'azienda farà quello che vuole, può anche (COME CERTAMENTE VIENE FATTO) dichiarare più esuberi del necessario, sfruttando la differenza come "buona volontà di venire incontro". A me, questa presa per i fondelli, non piace per nulla.

Quousque tandem?

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