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Sunday, May 1, 2016

Buon primo maggio, festa di cosa?




Quann'era nicu iu....... quando ero piccolo io, non ricordo grandi manifestazioni per il primo maggio. Forse non avevo la sensibilità necessaria. Oggi il concertone di piazza San Giovanni è un evento di mostruosità assortite con gente di sinistra che fa baccano qua e là rivendicando con la forza di centinaia di decibel, in modo smodato e patetico, ciò che palesemente non c'è più: il lavoro. Per molti aspetti questi eventi chiassosi hanno la stessa struttura dei gay pride di un tempo. Persone che dovevano nascondere la loro realtà (gay allora, disoccupati oggi), che si sfogavano in un mega party orgiastico per le strade di San Francisco, Parigi, Milano, Roma. Ma con una grossa differenza. Mentre i gay pride si sono affievoliti perché la battaglia per il riconoscimento dei diritti omosessuali è praticamente arrivata in porto, col lavoro si assiste al fenomeno opposto. Il lavoro ha perso pressoché totalmente (salvo per alcuni impiegati comunali, provinciali, regionali e statali) il suo status di "diritto dell'uomo" acquisendo sempre più il titolo nobiliare di "privilegio" per pochi.

E non è che tutto ciò sia avvenuto in ere geologiche. E' bastata una generazione.

I miei genitori, diplomati ISEF, quando hanno deciso dove andare a vivere lo hanno fatto in base alla CONVENIENZA, in base a dove lavorava mio nonno, ufficiale di Marina. Ti diplomi, entri di ruolo immediatamente, SCEGLI il posto che più ti aggrada. Vai a stare dove più ti conviene. Fine anni '60.
Quando mi sono laureato io (metà anni '90), la "brillantissima" laurea in Fisica poteva servirmi a fare la carriera universitaria, e quindi ATTENDERE quei 7-8 anni per poter trovare un posto stabile all'interno dell'università. Ma io, che di natura sono pigro, ottenuto il Dottorato in fisica, preferii il posto all'ST, realtà catanese in grande espansione, sotto l'impulso di un CEO siciliano, Pasquale Pistorio, e di una situazione economica che, dopo le avvisaglie del '92 (ricordate i governi Ciampi ed Amato, quello del prelievo del 6 per mille dei conti correnti, di notte? Quello disegnato come un topolino sanguisuga da Forattini?) era riuscita a fingere una ripresa. Allora feci la scelta di starmene tranquillamente a Catania, mandato ogni tanto ad Agrate. Non sapevo che, con la mia scelta, io stavo intercettando l'ultimo treno utile per avere una vita lavorativa RELATIVAMENTE poco travagliata. Poi venne la Numonyx, poi il caso Micron, la perdita del posto di lavoro, in realtà poi riacquistato per il rotto della cuffia grazie alle trattative dei sindacati.
Fine anni '60 due giovani 25enni diplomati scelgono di andare a vivere e lavorare dove più conviene. Fine anni '90 un ragazzo di 28 anni con il dottorato in Fisica sceglie (inconsapevolmente) l'ultimo treno utile per un lavoro dignitoso, ma non più così sicuro.
Nel 2005 mio cognato si laurea a Catania in lettere moderne indirizzo artistico. Fa domanda di insegnamento nelle Province siciliane (sconsigliato dal sottoscritto, che ha il viziaccio di dare consigli non richiesti) ed a Torino. Non ha MAI insegnato in Sicilia. Si trasferì con la fidanzata di allora (sua moglie ora) a Torino, per necessità, e lì ha fatto tutta la sua carriera da precario, fino ad ottenere il ruolo l'anno scorso. Ormai vivono stabilmente a Torino.
Fine anni '60 due giovani 25enni diplomati scelgono di andare a vivere e lavorare dove più conviene. Fine anni '90 un ragazzo di 28 anni con il dottorato in Fisica sceglie (inconsapevolmente) l'ultimo treno utile per un lavoro dignitoso, ma non più così sicuro. Anni 2000 un laureato in lettere NON HA NULLA DA SCEGLIERE, deve andare fuori per trovare il posto. In sette anni di età di differenza un altro salto all'indietro.

Scegliere dove vuoi stare fine anni '60. Scegliere quello che c'è di buono nel tuo territorio, fine anni '90. Cercare il lavoro, metà anni 2000.
Oggi, un giovane laureato brillantemente in Fisica ha la libertà di cercarsi il lavoro altrove. Qui, nisba.
Il chiasso quindi di sindacati e partecipanti al frastuono del primo maggio, quindi, è il grido di dolore non, come si vuol far credere, di una grande festa del lavoro e del lavoratore. Perché non c'è nulla da festeggiare.